Red Dead Redemption 2 è senz'alcun dubbio il gioco più affascinante uscito negli ultimi anni di questa “current generation”. Ben otto di gestazione che hanno portato alla pubblicazione dell’ultima creatura di uno studio che sforna solamente prodotti di una certa rilevanza. RDR 2 è inoltre il sequel più sentito dalla community di videogiocatori, che attendevano il ritorno nell'Ovest che ha dato vita alla leggenda di John Masrton: un'icona del medium. Quanto giocato oggi è la manifestazione della quinta essenza del videogame come forma d'arte; punto di arrivo e trampolino di lancio di vecchi e nuovi standard qualitativi. In questi giorni Red Dead è stato accolto dall'intera industry con una sorta di riverenza: un silenzio da ogni polo che ha lasciato spazio esclusivamente alle celebrazioni di questo gioco evento. Un gioiello raro, che possiamo dire arriva una volta sola ogni generazione; uno di quelli che condiziona irreversibilmente il mercato. RDR2 è di fatto eccezionale. Imperdibile. Tremendamente coinvolgente. E in questa recensione sono ansioso di spiegarvi il perchè, a patto però che troviate del tempo dato che liquidare un capolavoro del genere in poche righe di testa mi sembra quanto meno irrispettoso.
Il Colossal videoludico
1899. Il lontano e selvaggio West non è più quello che solitamente si vede nelle pellicole di Sergio Leone o nelle illustrazioni di Tex. Quel mondo ormai sta svanendo, destinato ad essere inghiottito dalla civilizzazione che lasciando spazio a chi, fino a quel momento, ha vissuto seguendo la sola legge del più forte.
Una serie di sfortunati eventi costringe Dutch Van Der Linde e la sua banda ad allontanarsi da Blackwater e ad affrontare un lungo viaggio per trovare un riparo sicuro, o una semplice tregua, da quella legge che sta loro col fiato sul collo, non più tanto tollerante nei confronti del giogo di banditi e delle scorribande di pistoleri fuorilegge. La prima immagine, quella che ci apre le porte di questo immenso mondo, è quella di una tormenta e di uomini a cavallo che si fanno strada tra cumuli di neve e venti tanto gelidi quanto potenti. Tutto questo, inutile nasconderlo, ha ricordato tanto l’ultimo film di Tarantino, indice del fatto che la narrazione, sin dai titoli di apertura, è di profonda ispirazione, e che prende a piene mani quanto di buono è stato fatto in passato, in tema western, dal cinema classico e moderno. Tutto ciò, posso affermarlo con fermezza, lo riscontrerete anche nel progredire della vostra avventura.
Chi ha avuto il piacere di giocare il primo titolo della serie Redemption riconoscerà nomi e volti familiari e ne troverà di nuovi, avendo dunque qualche spunto per prevedere il corso degli eventi: ma non lasciatevi ingannare, nulla sarà tanto scontato. Ogni volto che vedrete in quel capanno, nelle prime fasi di gioco, sarà quello di persone che avranno un certo peso lungo l’intero corso narrativo e che difficilmente riuscirete a dimenticare.
L’uomo misterioso del quale vestiremo i panni è Arthur Morgan, braccio destro di Van der Linde, un bandito del quale impareremo facilmente ad apprezzare carattere e carisma.
Ogni personaggio, tra l’altro, è stato curato nel dettaglio, con personalità ben delineate.
Apprenderemo sempre di più su Morgan e su ogni componente della sua banda, vivendo fianco a fianco la loro quotidianità e le loro missioni, grazie anche ad un sistema di interazione interpersonale tanto semplice quanto efficace. E questo è uno dei punti di forza su cui verte la narrazione: stare a stretto contatto con fantocci di pixel talmente tanto curati che rischi di dimenticare di assistere ad una finzione, una simulazione della vita a quei tempi, scadita da ritmi e necessità che rendono l'intero scenario talmente credibile da catturarti completamente.
Rockstar non nasconde, neanche durante le prime battute, quali siano i toni e i tempi della narrazione. Questa, è bene chiarirlo, prenderà tutti i suoi tempi, scelta che forse non abbraccerà i gusti di tutti ma che non compromette, in alcun modo, la godibilità del titolo, mettendo ben in chiaro che l’elemento “Storia” merita tutta l’attenzione del suo pubblico. La narrazione gode inoltre di una piacevole linearità, che nel contempo ci fa sentire legati ad un path prestabilito ma che, comunque, ci lascia liberi di esplorare a nostra discrezione l’intero mondo di gioco. Quest’ultimo, in ogni caso, sarà svelato gradualmente dalle missioni sia primarie che secondarie, strutturate in modo tale da stimolare quanto più possibile la curiosità, ad intraprendere percorsi alternativi per il solo gusto di farlo. La dimensione della mappa è più che generosa, caratterizzata in ogni sua regione da una grande varietà di flora e fauna, da comportamenti e abitudini differenti degli npc che la popolano e da climi che condizionano, seppur non drasticamente, la maniera in cui affrontiamo i nostri compiti.
Il lavoro dei designers quì non si è concentrato nella creazione del più vasto suolo di gioco mai visto, ma nel rendere ogni chilometro quadrato vibrante di vita e dettagli. Dall’inizio alla fine la narrazione non perde un colpo, e riesce ad andare sempre a segno restando fedele al livello qualitativo che percepiamo sin dalle prime ore. A dar manforte a questa, poi, scende in campo una regia che riesce nel migliore dei modi, con inquadrature, tempi e sequenze di eventi, a tirar fuori tutta l’espressività dei personaggi. Anche i dialoghi occupano una parte fondamentale nella produzione: non rivelandosi mai banali, questi ci coinvolgeranno sempre di più nelle vicende narrative. Durante le lunghe cavalcate per raggiungere la destinazione che darà inizio ad una missione, mentre siamo seduti al bancone del saloon, mentre giochiamo una mano di poker o, piuttosto, mentre ci riposiamo accanto al fuoco nel campo della nostra banda, partecipiamo o siamo semplici spettatori di lunghe ed articolate discussioni, mai ripetitive e sempre originali, andando così ad arricchire ogni istante trascorso in compagnia di altri personaggi.
Ulteriore complice del successo di questo stile narrativo è il ricchissimo comparto di animazioni. Mi spiego meglio. Abbiamo già detto che dialoghi, cura dei personaggi, varie sfaccettature caratteriali e regia danno un senso di immersione nelle vicende che il gioco ci propone. Ciò che però ci ha fatto vivere ogni singola ora nel modo più realistico possibile è stata la caratterizzazione delle movenze dei personaggi. Il modo in cui questi si spostano, raccolgono oggetti, impugnano armi o montano sul dorso del cavallo, da' l’impressione di osservare con i nostri occhi delle scene di vita reale. Se in pochi casi questa ricchezza risulta rallentare le azioni di gioco (cosa del quale è effettivamente colpevole), andando ad incidere sull’immediatezza tipica dei videogiochi, risulta eccezionalmente immersiva, sposando a perfezione il modo in cui la regia ci racconta una scena. Insomma, la narrazione è il punto forte della produzione.
Siamo stati protagonisti di un’avventura, durata sessanta e più ore, ma con un’unica costante: lasciarci meravigliati, di volta in volta, nello scoprire tutto ciò che Rockstar Games è stata capace di creare in questi otto lunghi anni di attesa. Eccezionale.
Il realismo secondo Rockstar
Finito il prologo e giunti finalmente al secondo capitolo vi renderete conto che da questo momento in poi il vostro Arthur Morgan è libero di prendere la sua strada e di guidarvi in quel territorio che fa da ponte tra il vecchio e il nuovo West. Durante la vostra permanenza in queste località, però, badate bene di non dimenticare di prendervi cura di voi stessi. Mangiare, lavarvi, riposare e tenere in allenamento le vostre abilità sarà una priorità. Ciò, infatti, permette al giocatore di poter contare su un alterego sempre pronto ad affrontare quello che accadrà e a lasciare che non sia mai impreparato dinanzi agli eventi avversi. Tutto questo, però, non esclude che sarete liberi di far faticare il povero Arthur fino allo sfinimento, farlo puzzare come un sacco di letame oppure ingrassarlo o affamarlo se la cosa vi incuriosisce. Ovviamente, non senza conseguenze negative: un aspetto trasandato, ad esempio, influisce negativamente su ogni tentativo di socializzare con terzi e, indirettamente, anche sul livello di stima. Quest’ultima sarà costantemente aggiornata in base all’atteggiamento da voi adottato e sarà in grado di rendervi la vita tanto facile quanto difficile.
Buone o cattive azioni sono l’unica vera scelta di fronte alla quale il gioco vi permetterà di decidere sugli eventi, anche se questi sembrano raramente connessi l’uno con l’altro, facendoci pensare che scegliere di agire in un modo piuttosto che in un altro non cambi poi tanto le carte in tavola. Queste decisioni si palesano sempre nella banale forma del dilemma morale “ti aiuto o non ti aiuto?”, dandoci quindi semplicemente la possibilità di migliorare o peggiorare la nostra reputazione. Scegliere di agire da “buono”, però, significa anche guardare avanti e sbloccare nuove quest di un filone narrativo secondario e, di conseguenza, ottenere anche nuove attività con compiti alternativi ma che al massimo ripropongono ancora una volta lo stesso tipo di dilemma.
In qualche modo, dunque, al videogiocatore viene data solo una piccola parvenza di scelta. Un comportamento virtuoso e disponibile si rivela infatti essenziale per rendere accessibile ogni sorta di attività che il gioco offre, mentre recitare la parte del “cattivo ragazzo” potrebbe in qualche modo castrare l’esperienza di gioco.
Nel gameplay trailer, prima del lancio, sono state pubblicizzate delle meccaniche che permettono agli npc di ricordarsi di voi e delle vostre azioni. Durante la nostra prova abbiamo riscontrato che queste meccaniche sono sì presenti, ma neanche lontanamente rilevanti quanto speravamo.Grande pecca è l’ingiustificata reazione degli npc nel caso in cui assistano ad un misfatto, sia involontario che doloso. Questi, infatti, di fronte a nefandezze scapperanno via per cercare aiuto o per invocare le autorità.
Capita spesso poi di scontrarsi rovinosamente con persone, a piedi o a cavallo, e quindi di dover fare i conti con la legge oppure con l’intera popolazione dell’area. Sebbene sia possibile provare a calmare il malcapitato, nella maggior parte dei casi, una sparatoria è inevitabile. A lungo andare tutto ciò quindi potrebbe risultare alquanto frustrante, rischiando così di rovinare una partita mettendo in grave difficoltà il giocatore con pesanti taglie o, persino, con il game over. Sono quindi meccaniche che, in qualche modo, simulano il realismo, non riuscendo però mai a raggiungerlo seriamente, rivelandosi più che altro, tutto sommato, poco invasive. Conseguenze più rilevanti della ricerca di maggior realismo derivano, invece, dal modo di affrontare i viaggi rapidi.
Raggiungere una destinazione, per l’appunto, è possibile solamente montando a cavallo e galoppando fino al punto di interesse. Una volta scoperte nuove zone, invece, sarà possibile comprare biglietti per il treno e coprire lunghe distanze seguendo la strada d’acciaio. In questi casi non si parla del comune “teletrasporto” ma di una modalità di viaggio semplicemente più veloce. Non saranno però solo questi gli unici modi di percorrere lunghe distanze in breve tempo. Sarà possibile, attraverso un apposito miglioramento della tenda personale di Arthur, sbloccare una cartina del mondo che permette il viaggio rapido in tutti quei luoghi che prevedono cartelli direzionali sulla mappa. Il nostro consiglio più spassionato è quello di affrontare ogni viaggio sul dorso del vostro destriero, in modo tale da non perdervi la ricca varietà di eventi che il gioco cela, i quali potranno essere sì banali e poco rilevanti, ma anche piccoli spunti per sbloccare quest più importanti.
Essenziale è il rapporto che instauriamo con la nostra cavalcatura. Aumentando il legame con essa, infatti, potremmo contare su una migliore resistenza nell’affrontare distanze sempre più impegnative ad alta velocità, così come sulla possibilità di richiamare il nostro cavallo a distanze maggiori qualora fosse troppo lontano. Anche la cavalcatura ha bisogno di cure. Esattamente come per il nostro personaggio, cibo e consumabili per il nostro animale miglioreranno il suo stato di salute e la sua resistenza. Anche spazzolargli il crine sarà un incentivo al suo benessere. Ogni cavallo ha delle differenti statistiche (Velocità, Accelerazione e Manovrabilità) che potranno essere migliorate sellandolo appropriatamente, altre (Salute, Resistenza e Affinità) incrementabili solo con il tempo. Dato poi che ad Arthur è concesso trasportare in spalla solo due armi di grosso calibro, la sella del nostro compagno di viaggio funge anche da piccolo magazzino mobile. Qualora avessimo bisogno di modificare il nostro equipaggiamento, allestire un campo per riposare, trasportare cacciagione, pelli o carcasse di animali oppure cambiare il nostro abbigliamento, avremo bisogno di essere vicini alla nostra cavalcatura.
Nulla di nuovo...ma tutto perfetto!
Opportunamente introdotte dalle missioni, le attività alle quali Arthur si può dedicare tra un un compito e l’altro sono svariate. Pesca, caccia, rapine, gioco d’azzardo: tutte con differenti sfumature. Possiamo pertanto partecipare a queste liberamente e a puro scopo ludico oppure dedicarci a sfide più impegnative, adeguatamente ricompensate. Sfidare al tavolo da gioco i nostri compagni di banda o dei semplici sconosciuti nei saloon, oppure vendere il nostro trofeo di caccia o di pesca a delle persone incontrate durante il nostro cammino, sono solo alcune delle alternative tra cui scegliere. Insomma il panorama intrattenitivo è molto vario e ci tiene impegnati per diverso tempo.
Per quanto concerne le meccaniche di combattimento queste non introducono nulla di nuovo, restando fedeli allo stile classico del gunplay alla Rockstar Games e a quanto visto nel precedente capitolo della serie. Tornano dunque anche quelle che un po stonano con la spasmodica ricerca di realismo perseguita ma che, tuttavia, sposano perfettamente l’offerta videoludica moderna. Pensiamo dunque all’ormai celebre “Occhio dell’aquila”, utile più che altro nelle sessioni di caccia, ed al più ricercato Dead Eye, riproposto in una versione più evoluta. Quest’ultimo migliorerà infatti con l’uso che ne faremo, dandoci tante più alternative quanto più alto sarà il nostro livello. Andremo da un semplice rallenty, a marcature manuali e automatiche, fino a giungere alla possibilità di individuare i punti deboli della nostra preda.
La difficoltà dei combattimenti non è affatto elevata: per mettere al tappeto Morgan saranno necessarie numerose ferite. In aggiunta, la mira dei nemici lascia a desiderare quanto basta da poterli affrontare, spesso e volentieri, senza l’utilizzo di coperture. Andando avanti siamo riusciti a percepire un lieve incremento della difficoltà che, tuttavia, non arriva mai ad essere eccessiva. Esattamente come quanto visto nella versione “next gen” di GTAV, Red Dead Redemption 2 può interamente essere giocato in tre modalità visuali: in terza persona, con tre differenti distanze dalle spalle di Arthur, in prima persona, forse quella più immersiva, e la modalità cinematografica, la quale si avvarrà di inquadrature dinamiche per dare un effetto più hollywoodiano sia alle sequenze scriptate, sia alle lunghe cavalcate.
Arthur dispone di una quantità enorme di armi (migliorabili e personalizzabili esteticamente) acquistabili dall’armaiolo oppure raccoglibili dai nemici uccisi nel corso della partita. L’armamentario è quindi suddiviso in più categorie (ognuna ricca di varianti): pistole, revolver, fucili di precisione o a ripetizione e shotgun. Inoltre, tra le statistiche si avrà anche un indicatore dello “stato dell’arma” da tenere sempre alto e rivelandosi quindi necessario tenerla sempre pulita.
Red Dead Redemption 2 è un gioco che stupisce costantemente durante tutte le sessanta ore (circa) necessarie per portare a termine la storia. Una storia che di fatto è degna di essere ricordata tra le migliori di sempre, capace di tenere il videogiocatore incollato allo schermo assuefatto da sequenze spettacolari e cariche di tensione. Un punto a favore poi è sicuramente l’alta rigiocabilità garantita da sfide da portare a termine in ogni missione, che classificano la nostra prestazione da bronzo ad oro fornendoci interessanti spunti per rivivere tutta la storia seguendo approcci alternativi.
La maniera in cui la narrazione riesce a raccontare questa fantastica storia è, in assoluto, la più sorprendente vista da tempo, avvicinando ancora di più questo videogioco ad un livello quasi cinematografico. Sarà facile affezionarsi ai personaggi, nessuno escluso; ognuno con un valore rilevante all’interno del racconto, il videogiocatore si sentirà parte di un contesto vivo. La storia è molto lunga ma mai noiosa, caratterizzata da una continua evoluzione caratteriale sia di Arthur che dei componenti della banda. Le meccaniche che si rifanno al puro realismo sono piacevoli e mai eccessivamente invadenti, abbracciando i gusti di ogni sorta di videogiocatore e non intralciando il divertimento di chi è più distante dal genere. Sebbene non manchino difetti seccanti, questi non inquinano eccessivamente l’esperienza di gioco. In altre parole, Redemption 2 non inventa nulla di nuovo, si limita (se così si può dire) ad arricchire quelle meccaniche che sono già ben conosciute nel panorama degli open world e a perfezionarle. Insomma nulla di nuovo ma tutto perfetto.
Tirando le somme ci troviamo di fronte ad un capolavoro sotto tutti i punti di vista.