Premessa: l’attesa per vedere finalmente che aspetto avesse Crackdown 3 è stata a dir poco lunga. Complice di questi tempi è sicuramente lo sviluppo travagliato che ha portato ad un mutamento del gioco in quasi ogni sua forma, smorzando forse l’hype che ne orbitava attorno e abbassando non di poco le aspettative. Insomma, diciamoci la verità, nessuno si aspettava il “videogioco del secolo” o un sostanziale contributo all’evoluzione di un genere, ma bisogna dire che Sumo Digital non ha fatto proprio tutto nel modo sbagliato.
I tempi di sviluppo sono durati circa cinque anni ed il progetto è addirittura passato ad un nuovo sviluppatore, da Reagent Games ad appunto Sumo Digital, nel pieno corso della gestazione del prodotto. La software house inglese si è dovuta far carico non solo dello sviluppo di un progetto che, all’epoca, portava con sé un buon quantitativo di ambizione grazie all’introduzione di nuove tecnologie computazionali inedite all'industria videoludica, ma anche del peso di una produzione tripla A, tra l’altro un’esclusiva, che avrebbe trovato al lancio una schiera di fan particolarmente attaccati al tipo di esperienza che i due capitoli precedenti offrivano. Crackdown 3 d’altro canto è anche un ultimo sassolino nella scarpa di Xbox, annunciato prima delle nuove acquisizioni, prima dell’adozione delle nuove politiche per quanto riguarda l’industria gaming e prima della rimonta di fine generazione sulla quale Xbox sta ancora lavorando. Insomma l’industria è andata avanti in questi cinque anni, ma Crackdown 3 è rimasto sempre lo stesso, compiendo al massimo qualche passo indietro rispetto a come si è presentato al pubblico la primissima volta. Questa premessa non è per giustificare una produzione che sicuramente doveva e poteva fare di meglio né per condannarla o etichettarla come un fallimento, ma solo per sottolineare il fatto che da uno sviluppo così travagliato e da una corsa contro il tempo è difficile che salti fuori un prodotto impeccabile.
Il giusto pretesto per prendere a pugni qualcuno
La storia conta poco, veramente poco. Si tratta a tutti gli effetti di un “more of the same” che si riallaccia alle premesse del suo predecessore per catapultarci immediatamente, in medias res, in una campagna giocatore singolo che in alcun modo ci fa sentire la benché minima necessità di recuperare i primi due titoli o di andare ad informarci sugli avvenimenti passati. Sappiamo bene che non si tratta di uno di quei videogiochi che affrontano tematiche particolarmente delicate, con un copione ricercato ed una trama imprevedibile e ricca di colpi di scena, ma si rischia seriamente di sfociare nel banale e ripetitivo, andando a ripescare vecchi clichè che disincentivano il giocatore a prestare particolare attenzione alla trama e agli avvenimenti principali di gioco, poiché la storia non sembra essere il piatto principale. Scelta accettabile sotto diversi punti di vista, dato che si tratta di una produzione che non richiede necessariamente una narrazione ed una trama ben costruite, ma il solo pretesto per far saltare tutto in aria, e trattandosi di un Crackdown la cosa può anche passare..
Il mondo è caduto nel caos, vittima di un’escalation di terrorismo che minaccia le più grandi città del pianeta. L’Agenzia questa volta opererà a New Providence, cittadina che apparentemente vive nella pace ma che, in realtà, nasconde una grande minaccia. L’antagonista è TerraNova, la tipica coalizione malvagia che utilizza il suo potere e la sua influenza per controllare il territorio. L'obiettivo dell’Agenzia è, appunto, quello di smontare la TerraNova ed estirpare ogni sua radice criminale nell’intera città. Conclusa la presentazione, tra l’altro interpretata da Terry Crews in una Opening Cinematic in stile “badass” come solo lui sa fare, saremo proiettati nella mappa di gioco, sin dall’inizio completamente esplorabile nella sua interezza. Nonostante questo saremo però disincentivati ad addentrarci nelle zone centrali dato che saranno quelle più ostiche da ripulire dalle varie organizzazioni. “Skills for Kills” è il motto che urlano a squarciagola gli agenti al richiamo di Crews all’inizio del gioco ed è anche la filosofia del sistema di avanzamento. Quando tutto ha finalmente inizio ci ritroveremo nei panni di un agente rigenerato da un filamento di DNA. Quello che ne salterà fuori dopo la rigenerazione è un uomo, decisamente anche qualcosa di più del comune civile che si incontra per le strade della città, che deve potenziare le proprie abilità da zero (prerogativa di ogni videogioco che prevede una sorta di sistema di avanzamento a livelli ma che Sumo Digital sente il bisogno di giustificare in qualche modo). Per diventare più forti sarà dunque necessario eliminare quanti più nemici possibile aumentando così le proprie abilità in combattimento, con le armi e con le esplosioni. Ciascuna di queste avrà un sistema di avanzamento completamente separato dalle altre e potenziare ogni skill significa effettuare quante più volte possibile le azioni che appartengono a quella determinata classe. Inoltre è presente anche un livello di abilità alla guida e di agilità che vi terrà impegnati a saltare da un palazzo all’altro, sia a piedi che a bordo veicolo, e a completare le differenti sfide a tempo che il gioco offre. Come premio per il vostro tempo impiegato a collezionare orbs, far esplodere cose, picchiare nemici e guidare tra le strade di New Providence, otterrete potenziamenti e abilità che saranno essenziali per affrontare i successivi combattimenti e scalate. Ad influenzare la maniera in cui affrontare gli scontri, seppur in modo molto limitato, vi è anche una selezione del personaggio.
Quello del Sergente Jaxon (Terry Crews) infatti non è l’unico agente disponibile. Ce ne saranno diversi tra cui poter scegliere ed altri che verranno sbloccati man mano che progrediremo nel gioco. Ogni agente è come “boostato” su alcune skills, come ad esempio Jaxon nel combattimento corpo a corpo. Altri avranno maggior controllo alla guida, altri ancora una migliore destrezza con le armi e così via, ma, torno a sottolineare, in alcun modo questo cambierà le carte in tavola e l’esperienza di gioco resterà pressoché identica, come se la scelta fosse più che altro di tipo estetico.
Gameplay esplosivo
Se mi doveste chiedere perchè dovremmo ricordare in futuro Crackdown 3 di certo la risposta che otterrete non sarà per la trama intrigante, personaggi memorabilmente caratterizzati, sequenza degli eventi incalzante oppure una lore affascinante. Anche se in questi campi Sumo Digital se l’è bene o male cavata, l’attenzione, così come il divertimento, si focalizza sul gameplay. Sarò sincero, eccezion fatta per alcune macchie sulle quali il titolo sembrava voler far leva e che poi sono risultate inesistenti (mi riferisco alla distruttibilità dell’ambiente), Crackdown 3 è esattamente quello che mi aspettavo fosse: un posto immaginario dove prendere l’arma più distruttiva che una persona possa impugnare e saltare e sparare dappertutto. Questo è esattamente quello che fa il titolo e lo fa piuttosto bene. Se all’inizio del gioco saremo quasi vincolati ad utilizzare armamenti più leggeri, avanzando tra una missione e l’altra, inizieremo a trovare armi sempre più devastanti che ci permetteranno, in una fase più avanzata del gioco, di sentirci come dèi della distruzione. Il problema, però, sta nel fatto che per quanto possa essere divertente far saltare in aria cose e nemici, ben presto inizierà a diventare tutto eccessivamente ripetitivo. Se nelle prime ore di gioco il ritmo sembrava essere sufficientemente incalzante è grazie al fatto che tra esplorazione, attività e obiettivi da debellare, per quanto variegati possano sembrare, dopo poco si incomincia a perdere la speranza di imbattersi in qualcosa di nuovo. Anche se affrontate nella difficoltà più ostica possibile i combattimenti non saranno mai troppo impegnativi, complice anche il fatto che il sistema di fuoco è interamente supportato da una mira ad “aggancio” del bersaglio e, quindi, il grosso del lavoro in una fase di combattimento la fa il gioco stesso. Gli scontri, nonostante tutto danno una certa soddisfazione ma, come detto poco più su, a porre freno al divertimento è la scarsa quantità e varietà di attività presenti che, alla lunga, avranno tutte lo stesso identico sapore. Da non dimenticare è il fatto che la campagna di Crackdown 3 ha una seconda faccia che si sposa perfettamente a quella che più facilmente salta all’occhio. A far compagnia alla overdose di esplosioni c’è anche una marcata vena platforming sulla quale è costruita buona parte dell’esperienza. Questa si rivela essenziale data la verticalità spiccata del gioco: se nel perimetro dell’isola di New Providence risulta essere alquanto limitata, nel cuore della città si alzano verso il cielo altissimi grattacieli che dovranno essere “scalati” per affrontare, una volta in cima, il boss di turno a capo di una fazione.
Ciascuna di queste strutture è costruita su diversi livelli, sia interni che esterni, che offrono diversi scontri a fuoco. Il giocatore in questi casi si ritroverà inevitabilmente a saltare e sparare di continuo e a muoversi agilmente tra un’esplosione e l’altra per liberare un’area e salire poi a quella successiva. Inoltre sono presenti missioni dedicate totalmente al platforming, ovvero quelle per far cessare la propaganda di TerraNova, che escludono totalmente dai giochi gli scontri a fuoco e focalizzano tutta l’attenzione su abilità e tempistiche di salto e scattershot.
Benvenuti a New Providence
Per detronizzare la “cattivona” di turno che governa dall’alto del grattacielo nel cuore dell’isola, bisogna prima passare su una buona parte dei suoi tirapiedi. Ogni boss fight si sblocca completando le attività primarie. L’isola di New Providence è suddivisa in undici piccoli quartieri che dovranno essere ripuliti dalle organizzazioni criminali che fanno capo a TerraNova. Ogni missione è caratterizzata da una forte ripetizione di ambienti e nemici che risultano essere pressoché identici, un copia ed incolla con la sola variazione dell’uniforme che indossano e dall’arma che impugnano. Alcune “classi” di nemici sono esclusive per ciascuna fazione, come ad esempio i bot che controllano le stazioni ferroviarie oppure gli esoscheletri giganti della fazione che controlla l'industria chimica della città. Unico fattore che arricchisce di un minimo la varietà dei combattimenti è la resistenza o l’immunità che questi hanno alle diverse tipologie di armi, fattore che ci costringerà a tenere in considerazione il nostro vasto arsenale prima di affrontare una determinata missione.
Per quanto possiamo ancora considerare non strettamente necessario un frame rate elevato nelle avventure in terza persona, ci dispiace quasi assistere ad una limitazione del genere per un titolo in esclusiva, dato che esclusiva vuol dire eloquente biglietto da visita per tutta la piattaforma. Nonostante ciò dobbiamo dire che il comparto tecnico si è comportato bene per tutta la durata della nostra prova su Xbox One S, mantenendo gli fps sempre fisso sul 30 e non mostrando incertezze neanche nelle fasi più concitate. La produzione ha scelto di mantenere lo stesso tipo di stile grafico dei precedenti capitoli, cel-shading, un tipo di rappresentazione grafica che personalmente ho sempre apprezzato. Probabilmente il più popolare esponente di questo stile al giorno d’oggi è Breath of The Wilde con il quale possiamo fare delle veloci considerazioni. Il cel-shading è stato spesso utilizzato con colori luminosi, vivi, sgargianti, e che ha regalato, anche in Breath of the Wild, colpi d’occhio d’effetto che nulla hanno da invidiare alle produzioni che ricercano il fotorealismo. In Crackdown 3 il colpo d’occhio c’è, ed è anche gradevole, ma la palette di colori sembra essere poco viva, poco accattivante. A rendere tutto un po’ più “colorato” sono le enormi ed animate insegne al neon o quelle olografiche che, però, non possono essere presenti sull’intera superficie della mappa di gioco, rendendo alcuni quartieri spogli, quasi tristi. In altre parole sembra quasi che questo aspetto soffra di qualche mancanza, di qualche elemento che lo avrebbe arricchito. Anche l’occhio vuole la sua parte.
Dove il gioco crolla...
Passando alla modalità multiplayer, accessibile avviando un client differente da quello che ci ha permesso di giocare la modalità storia, finalmente troviamo la distruttibilità ambientale tanto perseguita dal team di sviluppo e tanto pubblicizzata, conferenza dopo conferenza, negli ultimi anni di gestazione. Sono presenti solamente due modalità di gioco, ovvero Cacciatore di Agenti e Territori. La prima risulta essere una semplice “uccisione confermata” riadattata alle meccaniche di gioco di Crackdown, ovvero eliminare un avversario e raccogliere il distintivo che apparirà sul suo cadavere per guadagnare punti, mentre Territori consiste nel conquistare delle zone di controllo le quali forniscono punti, con la particolarità che, un po’ come succede nel multiplayer di Gears of War, le zone cambiano di volta in volta. Le mappe di gioco sono ideate ad hoc per il multiplayer e supportano una distruttibilità ambientale che, tuttavia, risulta essere molto limitata rispetto a quanto ci saremmo aspettati, e l’utilità di questa meccanica, ai fini della partita, non ha un valore eccessivamente caratterizzante poiché gli edifici risultano essere semplici coperture temporanee. Tutto sta nell’aumentare la spettacolarità dei combattimenti, purtroppo però tutto quello che accade durante una partita multiplayer non è sufficiente a garantire un’esperienza dal sapore almeno un minimo soddisfacente per il giocatore. La modalità risulta povera di contenuti e di stimoli a tornare a giocare. Fin da subito abbiamo a nostra disposizioni l’intero arsenale e potremo selezionare due armi su un totale che resta inferiore alla decina e due modificatori, uno per aumentare la capacità dello scudo ed un altro che permette una maggiore elevazione del salto. Non è presente dunque un sistema di livelli che dà l’accesso ad armamenti nuovi o a bonus differenti, di conseguenza, l’utente riuscirà ad avere l’intera esperienza multigiocatore direttamente dalle prime partite e un assaggio di tutti i contenuti nel giro di una mezz'ora. In un certo senso abbiamo come l’impressione che questa modalità sia stata un po’ buttata lì, arrangiata solo per essere presente al lancio e in alcun modo curata per garantire un’esperienza differente. Il potenziale è veramente alto, enorme, ma al momento ci sembra solo essere una carta vincente mal giocata.